SPEDIZIONE IN TERRA DEL FUOCO
Le note di viaggio che seguono sono state liberamente tratte dal testo del documentario di Paolo Giani “Ritorno alla Fine del Mondo” – Speciale TG1 del 7 settembre 2014 – che ho personalmente provveduto a registrare e dal quale le ho trascritte.
Foto di Piero Bosco.
Cile, Terra del Fuoco, qualcuno l’ha definita un “luogo dell’altrove”, laggiù in fondo al globo giusto prima degli abissi dei mari Antartici. Terra sferzata dai terribili venti che provengono dall’Oceano Pacifico e soffiano costantemente verso est, tanto da costringere gli alberi più esposti a crescere fortemente inclinati. Flagellata da un mare grigio raramente tranquillo questa regione è un vero e proprio rifugio naturale per la fauna subantartica. Dedalo di isole piccole e grandi tra il continente Americano e l’Antartide, la Terra del Fuoco fu svelata al mondo soprattutto per l’opera di esplorazione di due Piemontesi, Giacomo Bove e Padre De Agostini. Noi siamo andati sulle loro tracce alla scoperta dei suoi segreti e soprattutto delle sue incredibili bellezze.
A sud della città di Punta Arenas, ci imbarchiamo su un piccolo battello, di soli 16 metri, interamente in legno. Una volta usato per il trasporto del pesce, poi è stato in qualche modo riadattato per ospitare sparuti scienziati nelle loro spedizioni fin quaggiù.
Non certo un’imbarcazione moderna, i segni di qualche acciacco sono abbastanza evidenti, e magari, viste le acque nelle quali stiamo per addentrarci, un battello un po’ più grande non avrebbe certo guastato… Ma non ci facciamo troppo caso…
Nella minuscola cabina di comando, un paio di piccole radio saranno il nostro unico e spesso precario contatto con la civiltà….. Navigheremo in acque molto poco frequentate, in assoluta solitudine…
Stiamo per affrontare la magìa, ma anche in certi casi la durezza della Terra del Fuoco, all’estremo lembo desolato della terra, a sud.
Questo è il confine tra la terra degli uomini e i grandi silenzi dell’ Antartide.
Più a sud di noi c’è solo il terribile capo Horn, e l’oceano, sferzato dalle tempeste.
Il sole,molto pallido, riesce a fare capolino tra nubi scurissime, preannunciando che le condizioni meteo non saranno delle migliori per navigare in queste acque…
In breve passiamo davanti a Capo Froward: questo promontorio è il punto esatto dove finisce la terra, il continente, dove finiscono le Americhe, dalla punta nord dell’Alaska fin quaggiù.
Siamo a 53 gradi, 53 primi, 51 secondi sud.
Da questo punto, sormontato da una grande croce, c’è solo un immane dedalo di isole e di fiordi, prima del mare antartico.
Nel ramo dello Stretto di Magellano che guarda verso nord-ovest, facciamo subito un incontro a dir poco emozionante. Notiamo sbuffi d’acqua in lontananza: è il chiaro segnale della presenza di balene.
Ci avviciniamo a questi grossi cetacei, tentando di non disturbarli troppo…
Nonostante l’enorme mole, possono raggiungere i 19 metri e pesare 40 tonnellate, queste megattere si esibiscono davanti a noi in movimenti che sembrano una danza, lenta ed elegante …
E sì, lo Stretto di Magellano.
Anche noi proviamo una certa emozione a navigare in queste acque, qui in Terra del Fuoco, dove tra fiordi giganteschi, picchi e ghiacciai, si respira un’ aria davvero particolare….
Il paesaggio, pur grandioso, incute una certa sensazione che sfiora l’inquietudine..
E’ un autentico puzzle di isole e canali, come se la punta dell’ America meridionale si fosse sbriciolata.
Complici le brutte condizioni meteo, l’ atmosfera sembra un po’ cupa, fosca.
Si immaginano forse parte delle emozioni provate da chi, prima delle accurate esplorazioni di Padre de Agostini e di altri, si spinse per primo in queste acque allora sconosciute, questi fiordi…..con ben altri mezzi, rispetto ai giorni nostri…
Era un mare inviolato, finchè non arrivò Magellano, nel 1520: riuscì a districarsi in questo
dedalo di fiordi, isole e insenature, e scoprì questo passaggio tra Pacifico e Atlantico, lo stretto che ora porta il suo nome, il passaggio tra i due oceani senza essere costretti a
doppiare Capo Horn….
Le notti le trascorriamo gettando l’ancora del battello in piccole calette lungo lo Stretto, al riparo da vento e correnti.
L’ imbarcazione viene assicurata in alcuni casi anche con alcune corde,legate dall’equipaggio a grosse piante, che sulle pendici di queste alture arrivano quasi a sfiorare l’acqua del mare.
Una mattina ci risvegliamo addirittura sotto una discreta nevicata !
Va bene il tempo inclemente, potevamo immaginarci molta pioggia e vento qui in Terra del Fuoco, ma la neve a livello del mare, beh, forse non l’avevamo prevista…
Tentiamo di effettuare un primo sbarco. Il nostro obiettivo è il ghiacciaio di Santa Ines, che getta la sua mole in una stretta baia . Ma il maltempo non ci molla: tira un vento così forte che la pioggia, copiosa, sembra cadere in maniera orizzontale…
Dobbiamo restare al coperto, a scrutare la situazione dalla piccola cabina di comando…
Alla fine dobbiamo arrenderci, e fare rapidamente retromarcia.
Le onde causate dal vento molto forte potrebbero portare il nostro piccolo battello a sbattere contro le rocce, con conseguenze facilmente immaginabili…
Ma il tempo, in Terra del Fuoco, può cambiare in pochi minuti….
Quando appare, l’ arcobaleno contribuisce ad addolcire un po’ i colori cupi e minacciosi che ci stanno accompagnando in queste acque…..
Nonostante i pericoli di estinzione, Terra del Fuoco e Patagonia restano una delle più grandi riserve faunistiche del pianeta: in queste lande, l’invasione umana è arrivata più tardi…
A queste latitudini c’è un habitat particolare, per un mondo animale straordinario: balene,
foche, otarie, leoni ed elefanti marini, 297 specie di uccelli, un vero record (tra cui albatros,
cormorani, gabbiani, pinguini).
Con il nostro battello, passiamo vicinissimi ad alcune isolette dove troviamo colonie di leoni marini e otarie…I maschi dei leoni marini possono arrivare a due metri e mezzo e pesare 350 chili.
Qui in Terra del Fuoco, anche a causa della caccia, oggi c’è solo il 15% della popolazione
presente negli anni ’40.
Incuriositi da noi, alcuni esemplari si avvicinano con circospezione, e ci osservano….per immergersi velocemente non appena il battello arriva troppo vicino….
In una piccolissima caletta riusciamo ad intercettare da pochissimi metri un paio di Pinguini di Magellano.
Tra i primi colonizzatori di queste terre ci furono i Gallesi, ai quali non sfuggì la vistosa striscia bianca sopra gli occhi di questo buffo uccello marino: in dialetto gallese,è chiamata “ pen-gwin”.
Magellano li aveva descritti nelle sue memorie come “grandi oche pessime da mangiare perché coriacee e puzzolenti di pesce…”
Emozionante e divertente l’incontro con parte della fauna della Terra del Fuoco. Ma ora
Piero Bosco chiede di rivolgere la prua del nostro piccolo battello verso quelle zone forse
più legate alla scoperta e all’ esplorazione italiana, e all’infaticabile Padre De Agostini.
Dirigiamo decisamente verso sud est, verso il fiordo che porta il nome del salesiano
piemontese, in una delle zone più spettacolari della Terra del Fuoco.
Navigando sempre nelle acque dello Stretto di Magellano, ripensiamo alla descrizione che di questi luoghi remoti fece Charles Darwin, che passò qui nel 1834 con la nave Beagle: “terra montuosa, in parte sommersa dal mare, così golfi e passaggi profondi occupano il luogo dove dovrebbero esistere le valli. I fianchi delle montagne, fino all’acqua, sono coperti da una grande foresta”.
Lasciamo lo stretto di Magellano proprio al suo vertice meridionale, e ci inoltriamo nei giganteschi fiordi, sempre più a sud, seguendo la stessa rotta di Padre de Agostini.
Nonostante il maltempo ci nasconda gran parte dello spettacolo che potrebbero offrirci zone del pianeta come questa, cominciamo a vedere attorno a noi cime grandiose, che con le loro forme riescono in qualche modo a sconfiggere i pesanti nuvoloni, e a rivelarsi ai nostri occhi…
Avvicinandoci al fiordo che porta il nome di Padre de Agostini, capiamo perché è stato deciso di dedicare questa zona al salesiano piemontese: le montagne diventano sempre più imponenti, a tratti ricordano le Alpi, con picchi e torri spettacolari…
De Agostini parlò di “severa maestà di questo vergine spettacolo della natura”, di queste montagne tra le più remote della terra, di spettacolari sfilate di ghiacciai che si buttano nelle gelide ed oscure acque di questi fiordi remoti…..Un mare di silenzio e di ghiaccio”.
Queste le parole del sacerdote salesiano quando scoprì per la prima volta il fiordo che porta il suo nome.
Passiamo sotto il monte Sarmiento, molto legato all’attività di De Agostini in queste terre remote, ma il maltempo lo nasconde ai nostri occhi.
Questa volta, Piero riesce a sbarcare un paio di volte vicino ad alcuni dei tanti ghiacciai della zona.
Quando si tocca terra in posti come questi, si ha quasi la sensazione di camminare su sabbie e sassi praticamente vergini.
C’è un silenzio quasi irreale, mentre si è al cospetto di questi spettacoli offerti da una natura titanica….
Oltre alla maestà e alla grandiosa potenza che emanano questi giganti di ghiaccio, si nota anche una vegetazione rara, si captano strani e piacevoli profumi…
In questo dedalo di isole, fiordi e ghiacciai, Padre De Agostini si è orientato, ha scoperto, ha soprattutto mappato e nominato tutto ciò che vedeva.
Piero Bosco ha evocato un altro italiano, Giacomo Bove, l’esploratore giramondo che ispirò Emilio Salgàri.
Come De Agostini ai primi del ‘900, anche Bove ha legato il suo nome alla Terra del Fuoco,nella seconda metà dell’ 800.
Sembra incredibile, ma personaggi come Giacomo Bove, e lo stesso Padre de Agostini, nonostante tutto quello che hanno fatto, non sembrano godere della notorietà dovuta nel nostro Paese. Il loro ricordo è tenuto vivo soprattutto per l’attività di enti ed istituzioni.
Mentre invece, qui in Sud America, il salesiano torinese gode di una popolarità importante.
Siamo ormai al culmine della nostra avventura in Terra del Fuoco, proprio all’estremità del Fiordo dedicato a De Agostini.
Un’ altra tormenta di neve, particolarmente intensa, ci impedisce di raggiungere il fondo del primo ramo, dove arriva la fronte del ghiacciaio dedicato al salesiano piemontese.
Piero Bosco prova allora a sbarcare alla fine del secondo ramo del fiordo, davanti al ghiacciaio Serrano.
Il gommone si avvicina fin dove può, cercando di fare a zig e zag tra blocchi di ghiaccio che diventano sempre più grandi… Fino a diventare una massa semi-uniforme, che impedisce di proseguire. Non si passa. Peccato. Il fiordo De Agostini ci ha fatto capire concretamente quanto estrema e selvaggia sia questa parte della Terra del Fuoco….
Metà Eden e metà inferno, il vero capolinea del pianeta.
Proviamo a tornare da dove è partita questa nostra navigazione in Terra del Fuoco.
Questa terra si conferma di una grandezza inquietante, con paesaggi che sembrano scolpiti dal vento e dalle intemperie. Un vero avamposto davanti al nulla. Una natura bellissima e severa. Che richiede voglia di avventura e spirito d’adattamento.
Cieli cupi. Le tonalità dominanti restano quelle del grigio, delle montagne, delle acque, delle nuvole…
Ma il clima della Terra del Fuoco non sembra darci tregua….forti e gelidi venti alzano il mare, e il nostro piccolo battello inizia la sua lotta contro le onde…onde non alte, 4-5 metri, ma capaci di scrollare molto la nostra piccola imbarcazione.
Siamo sballottati con violenza….a bordo non si riesce a stare in piedi senza tenersi saldamente con entrambe le mani…
La perizia del comandante al timone, oltre alla sua conoscenza di queste zone, ci porta senza danni a rifugiarci in una provvidenziale caletta…
Piero Bosco studia le mappe della zona, pensa alla rotta da seguire…Scuote la testa….
Il mare, nei grandi fiordi fuori della caletta, qui in terra del Fuoco, potrebbe essere ora troppo grosso e pericoloso per un battello piccolo come il nostro…
Siamo fermi qui perché c’è tempesta, bassa pressione, vento molto forte, dobbiamo andare verso ovest, e il vento soffia proprio da ovest, la navigazione è difficoltosa, il capitano preferisce rimanere qui per motivi sicurezza, d’altra parte De Agostini nei suoi diari parla di lunghe attese, è una terra che non si concede facilmente, dobbiamo anche noi avere pazienza e aspettare.
“Avere pazienza…aspettare…” sembrano parole strane in una spedizione…eppure sono concetti fondamentali, importanti, che servono ad evitare un mucchio di guai…
Il comandante Hugo approfitta della sosta forzata per immergersi e per andare a dare un’occhiata al fondo del battello… vuole vedere se ha subito danni durante la piccola tempesta che abbiamo appena incontrato….
Fortunatamente, ha ceduto solo un bullone, prontamente sostituito.Ma il resto della struttura del battello ha retto bene…
Alla fine, quindi, il responso è confortante……. todo bien !
Anche Piero decide di approfittare di questa sosta forzata per dare un’occhiata ad un isolotto poco distante, dove abbiamo avvistato alcuni elefanti marini.
Una croce isolata, con un piccolo rosario e un orologio, ricorda un pescatore vittima di un naufragio in questa zona, nel 2009.
La reazione degli animali è una pigra indifferenza: non sembrano disturbati troppo dall’ essere umano. D’altronde, con Piero siamo tra i pochissimi ad esserci spinti in queste lande desolate e selvagge, sicuramente fuori dai circuiti più frequentati di un turismo, seppur estremo…
Continuiamo la rotta verso nord. Il mare sembra darci una tregua. Proviamo a riattraversare loStretto di Magellano, per poi sbarcare definitivamente da dove siamo partiti, a sud della città di Punta Arenas, quando ci siamo messisulle tracce delle esplorazioni di Padre Alberto De Agostini…
Colline nere, poi nuvole, ghiaccio, poi nuvole ancora. Ormai abbiamo rinunciato alla speranza di vedere questa parte di mondo, almeno per qualche minuto, con un tempo clemente. Il maltempo che ci ha accompagnato non ha intaccato il fascino di questo insieme di montagne, ghiacci e mare.
Una terra che è sembrata chiedere aiuto a pesanti nuvoloni per restare misteriosa, quasi imprendibile, inaccessibile.
Rinavighiamo nello strettissimo, insidioso passaggio Gabriel, dove è ben visibile un faro di segnalazione delle rocce vicine e sporgenti.
Anche nel sistema di fari nella zona dello Stretto di Magellano c’è traccia d’Italia…la spedizione di Bove organizzata da governo argentino per costruire serie di fari per segnalazione qui in terra del Fuoco…
Non è finita. Una nuova, piccola tempesta, ingrossa nuovamente il mare.
Ma il nostro minuscolo battello, magistralmente condotto dal capitano Hugo, dimostra di avere una scorza dura….
E’ l’ultimo” saluto”, chiamiamolo così, di un meteo, di un cielo, di terre e di un mare che ci hanno regalato emozioni forti…
Durante qualche minuto di attesa nell’ennesima, piccola baia, per cercare di far calmare il mare e non attraversare lo stretto di Magellano in quelle condizioni, è impressionante vedere la corrente che riesce comunque ad irrompere nel luogo dove ci siamo rifugiati.
Il mare, spinto dai venti di queste latitudini, sembrano un fiume che si getta impetuoso in un piccolo lago.
Il comandante del battello decide comunque di attraversare lo Stretto di Magellano.
Le acque sono ancora abbastanza agitate, ma l’approdo finale, la terraferma, sono ormai vicini…una piccola caletta, un porticciolo, a sud di Punta Arenas.
I motori del nostro piccolo battello si spengono definitivamente.
Piero saluta Hugo, il capitano del battello, Juan, Oscar, Nelson ed Eduardo, i compagni di viaggio, ma soprattutto compagni della nostra piccola avventura qui, nelle acque della Terra del Fuoco, alla fine del mondo.
Padre De Agostini e Giacomo Bove vennero fin qui perché letteralmente ammaliati da queste terre, un misto di Alpi, Scandinavia, laghi e fiordi artici, foreste canadesi, steppa australiana, ghiacciai enormi che buttano in mare o nei laghi.
Luis Sepùlveda ha scritto: “ a sud del 50° parallelo comincia un mondo con un differente senso dello spazio, del tempo, della distanza. Un mondo di pienezza, felicità, ingenuità, alieno dall’idea perversa di esistenza come “avere e possedere”, riflessa nelle nevrosi del Nord”.
Qui ci sono solitudini che possono anche spaventare, ma che, soprattutto, incantano.
Chi non c’è stato, magari non può capire.
Chi c’è stato, vuole tornare.