Vichinghi
Se si parla di esplorazione dei Mari del Nord e delle terre che si affacciano sul Nord Atlantico non si può non parlare dei Vichinghi che, data la naturale ubicazione geografica, furono senza dubbio i primi a navigare le fredde acque e scoprire le terre nordiche. Bisogna dire che intorno all’800 a.C. e fino ai primi del 1100 d.C. le condizioni climatiche dell’Atlantico del Nord erano molto simili alle nostre mediterranee, ed i mari tra Islanda, Groenlandia e Labrador, nella stagione estiva, erano liberi dai ghiacci. Con le loro agili ma robuste navi (Knorr e Drakkar), dopo aver esplorato il Mare del Nord, si avventurarono verso Ovest scoprendo le Shetland, le Far Oer, l’Islanda e poi il grande balzo verso la Groenlandia, per poi ridiscendere verso il Labrador favoriti, in questo caso, dalla corrente atlantica che incrocia quelle polari che scendono per l’appunto verso sud.
La “Groenlandiga Saga” racconta che un mercante norvegese, tale Bjorn Herjulfson, durante un viaggio tra Islanda e Groenlandia si trovò in stato di bonaccia ed intrappolato nella nebbia che gli fece smarrire la rotta. Quando fu in grado di riprendere la navigazione vide davanti a sé una costa piatta ricoperta di foreste. Dalla densità degli alberi e dalla posizione del sole dedusse di essere sceso molto a sud e pertanto fece vela subito verso nord raggiungendo una stazione in Groenlandia. Molti anni dopo il suo racconto convinse Leif, detto Erik il Rosso, che quella terra poteva essere adatta all’impianto di una colonia e partì. La spedizione toccò le terre di Helluland (isola di Baffin), Markland (Labrador), Capo Porcupine, Belle Isle e per ultimo Terranova, dove l’esploratore si insediò per svernare. Di certo non si addentrarono mai molto nel territorio, tuttavia scoprirono delle viti selvatiche che, grazie alla mitezza del clima, riuscivano a svilupparsi. La nuova terra fu chiamata “Vinland”. Gli scambi con la terra madre si mantennero ed in un decennio la colonia crebbe fino a contare un 250 persone. Ben presto però, come descritto nella saga di Erik il Rosso, l’insediamento dovette vedersela con un gran numero di piccoli uomini (Inuit) giunti a bordo di canoe di cuoio (kayak) che assediarono il villaggio armati di stanghe e di armi da lancio non meglio definite. Nonostante la vittoria, essendo il pericolo sempre incombente, i Vichinghi decisero di abbandonare l’insediamento e ritornare in Groenlandia. Bisogna considerare che a quell’epoca (intorno all’anno Mille) le spedizioni esplorative erano determinate dalle necessità estemporanee di piccoli gruppi e pertanto non supportate, come sarebbe avvenuto in seguito, da appoggi governativi che consentivano l’impiego di mezzi e uomini e creazioni di strutture ed infrastrutture adeguate. La scoperta del sito vichingo situato all’Anse-aux-Meadows, nella punta settentrionale di Terranova, conferma che furono senz’altro i primi a sbarcare, non solo sulle isole precedentemente dette, ma anche sul suolo del continente americano e questo con cinque secoli di anticipo su Cristoforo Colombo.
Curiosità: una recente notizia scientifica, pubblicata sulla rivista britannica Proceedings of the Royal Society A, afferma che un gruppo di ricercatori internazionali dell’Università di Rennes, guidati dallo studioso francese Guy Ropars ha scoperto che la leggendaria “pietra del sole”, usata dai Vichinghi per individuare la posizione del sole quando il tempo era brutto e quindi individuare la rotta da percorrere, non è altro che lo “spato d’Islanda”, un cristallo di calcite trasparente, relativamente comune anche in Scandinavia, che polarizza la luce del sole e ha la proprietà della doppia rifrazione. Ruotandolo permette di individuare con buona precisione la posizione dell’astro anche quando non si vede perché il cielo è coperto. Con questa scoperta viene a cadere una delle leggende più misteriose dell’epopea vichinga narrata nelle saghe che diceva che re Olaf , nei giorni di nebbia fitta,”prendeva una pietra del sole, la rivolgeva verso il cielo e così intuiva la posizione dell’invisibile astro”.
BIOGRAFIA curata da Bruno Bocchi