YAMAL: LA MIGRAZIONE DEI NENETS

Testo dal diario di Nicoletta e Silvano Bergamin e foto di Piero Bosco

3 ottobre
Arriviamo verso sera a Salekhard: circa 2000 Km. a nord-est di Mosca. Siamo partiti ieri da casa, oggi siamo qui in questa città così lontana e sconosciuta, ma non siamo ancora veramente entrati nel mondo che ci apprestiamo ad esplorare: il mondo dei Nentsy, allevatori di renne sparsi su una vasta area dell’Artico russo. Ci arriveremo domani, quando raggiungeremo la nostra base di partenza per questa avventura, Yar Sale, avamposto di tutti i Nentsy dello Yamal, dove studiano i loro figli, dove molti di loro, diventati sedentari provvisoriamente o in modo definitivo, vivono in moderni appartamenti, dotati di tutti i comfort, ma abbastanza vicini alla tundra da poter raggiungere in breve, via terra o in elicottero, i loro chum(tende di pelle di renna, simili a grandi teepee) e le loro renne.

4 ottobre
Sveglia all’alba: dobbiamo andare al porto per imbarcarci sull’aliscafo che ci porterà a Yar Sale. C’è molta gente ma, a parte noi, nessuno straniero; si parte alle 7.00 dopo un concitato imbarco, tra i nostri bagagli e gli innumerevoli pacchi che i locali si portano appresso: l’imbarcazione è decisamente moderna e confortevole e le 5 ore di viaggio passano relativamente in fretta, mentre sugli schermi viene trasmessa una specie di appassionante telenovela russa, di cui però perdiamo proprio il finale! Arrivati a Yar Sale, il clima è uggioso, ma la temperatura sorprendentemente tiepida: dopo aver visitato alcune strutture pubbliche a disposizione degli abitanti (scuole e centro sportivo), siamo sempre più stupiti dal grado di agiatezza di questi luoghi. Ci verrà spiegato poi che, trattandosi di un territorio a statuto speciale, possono utilizzare localmente molte più risorse di quanto non succeda nel resto della Russia e, per quel poco che possiamo vedere, sembrano spese bene. A sera, cena a casa di Kyrill, che sarà la nostra guida locale nei prossimi giorni, a base di ottimo pesce crudo e pelmeni.

5 ottobre
Ancora pioggerella e un po’ di nevischio. Alle 9.00 finalmente ecco il cingolato che ci porterà nella tundra: siamo stivati in 8 con i bagagli su questa specie di rimorchio di carro armato, mentre le guide viaggiano davanti con i 2 giovani reporter della televisione russa, che staranno con noi per qualche giorno.
All’interno del nostro singolare mezzo di trasporto non si vede molto ma le soste, proprio per questo motivo, sono molto frequenti, per permetterci letteralmente di VEDERE dove stiamo andando: in questo modo, spesso restiamo meravigliati da quello che ci troviamo davanti quando ci vengono a “liberare”. Infatti, quando incontriamo il primo piccolo campo Nentsy di sole 2 tende, con un bambino molto piccolo che ci viene timidamente incontro, la sensazione è quella di essere usciti in qualche modo dal nostro pianeta e di essere capitati non si sa ancor bene dove: tutto è talmente irreale, l’atmosfera, l’aria gelida, questo bimbo dall’aria felice, ma che sembra solo al mondo, in questo mondo polare!
Poi improvvisamente tutto si anima: prima esce una donna dal chum poi, immagine ancora più fiabesca, si palesano all’orizzonte due slitte trainate da renne. Si fanno le presentazioni: sono due dei capifamiglia che ci accoglieranno nel loro accampamento, dove arriviamo subito dopo. Ci suddividiamo nelle 3 tende che ci ospiteranno nei prossimi giorni e ci viene servito il primo dei numerosi pasti che condivideremo con queste 3 famiglie: quasi sempre saranno semplici ma ottime zuppe con qualche verdura, per lo più carote, patate e cavoli, e carne di renna che, a dispetto dei nostri timori iniziali, si rivelerà deliziosa.

6 ottobre
La prima notte, con un po’ di difficoltà, è passata: non è facile dormire praticamente per terra, soprattutto per chi è più freddoloso. In realtà, forse ci si potrebbe organizzare un po’ meglio: per la prossima notte si vedrà di migliorare la sistemazione, anche perché fuori il freddo è pungente e, ogni tanto, si mette a nevicare. Intanto, dopo pranzo, i Nentsy dispongono le loro slitte a semicerchio e le uniscono tra di loro con delle corde e una rete molto lunga, simile ad una grossa rete da pesca. I cani cominciano ad abbaiare in modo convulso, mentre gli uomini vanno a prendere le renne, che cominciano a correre intorno all’accampamento. Poiché il branco è composto in parte da renne praticamente selvatiche e in parte da renne parzialmente addomesticate, queste ultime cominciano a poco a poco ad entrare nella specie di recinto formato dalle slitte e che è controllato dalle donne, mentre gli uomini tentano di catturare le altre renne con una specie di lazo. Quando hanno a disposizione un numero sufficiente di renne, ne legano generalmente quattro per ogni slitta. Le slitte nel frattempo sono state caricate di tutte le suppellettili e delle tende stesse, smontate: ognuna delle tre famiglie che ci ospitano carica 3 o 4 slitte, poi si parte. Qualcuno a bordo del cingolato, qualcuno sulle slitte, qualcun altro segue a piedi: il terreno non è proprio facilissimo da percorrere, ci sono anche dei piccoli guadi da attraversare, ma ne vale decisamente la pena, perché … sì, sembra incredibile, ma stiamo seguendo dei pastori di renne nomadi, che trasferiscono il loro accampamento spostandosi su slitte di legno trainate da renne. Ragioniamo un attimo, verrebbe da dire, siamo nel 2014 … no, semplicemente non può essere: stiamo attraversando un sogno, un’avventura probabilmente sognata tante volte da bambini, non può essere la realtà! Dev’essere la neve, o questa luce così particolare, o forse il freddo: c’è qualcosa che non è facile capire, tantomeno spiegare, ma che ti prende in modo ineluttabile. Non c’è niente di veramente BELLO, secondo i canoni classici della bellezza, eppure ti senti sopraffatto da tanta purezza: ecco, sì, si sente forte la sensazione di qualcosa di PURO.

7 ottobre
La seconda notte è stata molto più confortevole, nella tenda rimontata e, questa volta, già predisposta per l’inverno, con doppio strato di pelli di renna. Anche il nostro sacco a pelo viene steso sopra altre pelli di renna, e si dorme tutti insieme: ci sistemiamo in fila noi quattro, poi il capofamiglia, Gennady, quindi la piccola Tanja, 4 anni, figlia di uno dei suoi 8 figli; infine Nadja, la moglie di Gennady, prima di coricarsi nel posto più vicino all’ingresso (quindi potenzialmente il più freddo) crea un po’ d’intimità, calando dall’alto un telo leggero che ci divide, tutti e 7 fraternamente stesi insieme, dal resto della tenda. Qualcuno ha il coraggio, o l’impellenza, di alzarsi nel cuore della notte ed uscire: il vento è gelido, ma nel laghetto davanti al quale ci siamo accampati risplende, magica, la luna.
Al mattino c’è fermento al campo: oggi si dovranno catturare e macellare 3 renne! Si ricostituisce il semicerchio con le slitte e la rete, i cani sono ancora più agitati di ieri e i loro guaiti fanno quasi paura: sembrano più un branco di lupi, anche se in realtà si tratta di cani piuttosto piccoli rispetto agli Husky siberiani che ci saremmo aspettati di trovare. Gli uomini sono andati a radunare le renne che, come al solito, stavano pascolando non molto lontano dall’accampamento: iniziano a farle correre in tondo. Le renne addomesticate, ormai lo sappiamo, prima o poi entreranno nel recinto approntato per loro; le altre dovranno fare più giri finché alcune non saranno prese al lazo e, questa volta, uccise. Altro tuffo nella nostra parte più ancestrale: non c’è posto, qui e ora, per la nostra razionalità! Qui si torna alla preistoria, qui abbiamo l’occasione, vorrei dire la fortuna, di osservare come si vive, anzi si sopravvive, in questa parte di mondo che assomiglia così tanto ad un tempo, l’era glaciale, che anche il mondo mediterraneo, il nostro mondo, ha dovuto sperimentare: non possiamo fare troppe storie, dobbiamo guardare e basta! Certo, non è proprio cosa di tutti i giorni vedere scuoiare e macellare quella bella renna che ieri ti correva vicino; e poi i Nentsy che ne bevono con gusto il sangue, o ne mangiano la carne lasciata macerare per qualche minuto nel sangue leggermente salato! Ma poi vederli tutti: uomini, donne e bambini, con quelle labbra rosse che sembrano dipinte con il più acceso dei rossetti, ti fa tornare il sorriso e ti senti arricchito da una nuova, dura ma grandiosa, esperienza.

8 ottobre
Questa mattina nevischia e i laghetti tutt’intorno sono ormai completamente ghiacciati. Si pranza molto presto (con l’ottima carne delle renne di ieri …), perché poi bisogna smontare nuovamente il campo: i preparativi si ripetono uguali, ma ormai si è creato affiatamento tra le due parti e qualcuno è persino in grado di dare una mano attivamente. Il nuovo campo non è molto lontano dal precedente: quando si arriva, le tende vengono montate in fretta, si spacca la legna in pezzi molto piccoli per le stufe che stanno al centro di ogni chum e, mentre Nadja prepara la cena e Gennady pensa alle renne, noi abbiamo tempo per aggirarci nelle vicinanze, avventurarci fino al limite degli alberi, dove c’è sempre qualche ruscello che, per il momento, non è ancora ghiacciato: ci sono betulle e larici, circondati da cespugli ed arbusti, che vanno poi a distendersi nel tappeto della tundra. Alcuni portano ancora delle bacche, così gustose in questo mondo tanto freddo da sembrare senza vita; innumerevoli sono le varietà di foglie, rametti, muschi, licheni, sassolini, tutto disposto nei più svariati intrecci, che staresti ore a guardare e fotografare, senza alzare lo sguardo da terra, in questo mondo finora sconosciuto. Questa è un’altra particolarità di un viaggio che apparentemente sembra non portarti da nessuna parte, ma che in ogni momento ti mostra invece un nuovo aspetto, ti regala una nuova sensazione, ti svela un nuovo mondo. Anche la sera sarà una nuova scoperta: Piero e Konstantin, le nostre guide e interpreti, questa sera cenano con noi e ci aiutano a colloquiare con la famiglia che ci ospita. Ci incalziamo a vicenda con una raffica di domande a volte molto semplici, altre volte molto profonde: alla fine si percepisce una sorta di maggiore affiatamento, quasi di amicizia che però si esprimeva bene anche prima, solo attraverso i sorrisi e qualche gesto. In questo modo, finiamo per fare le ore piccole: questa sera non si va a dormire alle 20.00, come di solito, ma addirittura quasi alle 22.00!

9 ottobre
Dopo una notte serena di luna piena, questa mattina la tundra ci ha regalato la visione di un gruppo di pernici in livrea invernale. Dopo pranzo si radunano nuovamente le renne: questa volta è per fare una passeggiata in slitta. I Nentsy vogliono mostrarci un luogo per loro sacro, che si trova a pochi chilometri dal campo: non si tratta certo di un tempio grandioso, ma di un semplice cumulo di corna e teschi di renna, intrecciati tra bottiglie di vodka, pezzi di stoffa, altri oggetti non identificati e monetine che anche noi lanciamo, come gesto beneaugurante. La semplicità di questo luogo, la carovana di slitte che si snoda lungo il percorso, una bianchissima volpe artica che intravediamo da lontano: tutto contribuisce a creare ancora una volta una magia particolare, un salto non solo in un luogo, ma anche in un tempo diverso dal nostro.

10 ottobre
Oggi è il nostro ultimo giorno all’accampamento: abbiamo assistito, in questi pochi giorni, al passaggio dall’autunno all’inverno. Le temperature si sono abbassate di almeno una decina di gradi, i colori stanno cambiando tutt’intorno e l’acqua dei laghi è ormai gelata: prima di riempire i secchi da portare alle tende, bisogna rompere il ghiaccio. E’ arrivato il momento di salutare, di lasciare questa gente che ci ha accolto così amichevolmente, ma l’idea di una notte in una camera d’albergo ben riscaldata è troppo allettante!

11 ottobre
Tornati a Yar Sale, finalmente siamo riusciti a farci una doccia e a dormire in un letto caldo ma, diciamo la verità, è tutto così scontato, così banale, tutto così terribilmente caldo: quanto era meglio stare nella tundra, far finta di saper vivere come i Nentsy per qualche giorno! Quanto era bello non dover essere ben vestiti, presentabili, puliti, ma semplicemente ben protetti dal freddo, contenti e … pieni di peli di renna dappertutto! Purtroppo il brutto tempo ci impedisce di rientrare a Salekhard in elicottero: sarebbe stato fantastico dare l’addio dall’alto a questa terra solo apparentemente inospitale. Ci tocca fare a ritroso il percorso sull’immenso delta del fiume Ob, di cui non si riesce nemmeno a percepire la vastità: tra l’altro, questa sarà anche l’ultima corsa della stagione, perché anche l’acqua del fiume comincia a gelare, mentre la neve cade ormai abbondante. Arrivare a Salekhard, pur in un clima ormai decisamente invernale e a migliaia di chilometri da casa, significa comunque lasciarsi già alle spalle qualcosa d’importante: si ha la sensazione di non aver fatto semplicemente un viaggio, non è stata nemmeno un’avventura, c’è un che di indescrivibile che resta dentro, l’idea di un contatto molto stretto con la natura, che stava risvegliando la nostra parte più ancestrale, sopita ormai da millenni. Forse tra un po’ di tempo sarà più facile esprimere tutto ciò, o forse rimarrà per sempre questo senso di indicibile; resterà comunque, fortissimo, il ricordo di un’esperienza STRAORDINARIA.